E proprio di cinema si parla durante questo incontro con Filippo Schillaci, autore de Il tempo interiore. L’arte della visione di Andrej Tarkovskij. Un bambino stacca un lume dal soffitto, un altro siede su un lenzuolo disteso sul pavimento. Entra in campo la madre che cammina fra le stanze, si volta indietro, dice alcune parole che non udiamo, esce all’esterno. Rivediamo, al di là di una porta, il primo bambino che armeggia col lume. Rientra in campo la madre, passa davanti a noi ed esce nuovamente. La lasciamo per tornare a rivolgerci all’interno, dove il secondo bambino, immerso nel buio, accende un fiammifero…
Per Andrej Tarkovskij fare cinema non consiste nel raccontare «piccole storie recitate e filmate». I suoi film si distinguono per un uso accentuato delle specificità del cinema, concepito come un’arte più vicina alla musica
e alla poesia che alla letteratura. Le sue opere ci immergono in un narrare in cui la rappresentazione dell’azione, ovvero della parte immanente della vita, si è ineffabilmente rarefatta. E affinché ciò accada tutto deve fermarsi. Si medita stando immobili, si può ancora meditare in pacato cammino; non si medita in corsa.
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